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Le associazioni e l’organizzazione di gite e viaggi

L’avvento dell’autunno riduce il numero delle gite e viaggi organizzati dalle associazioni culturali e ricreative ma incentiva, ad esempio, le settimane bianche indette dagli sci club.Ma quali sono le problematiche, di carattere giuridico – amministrativo, collegate all’ organizzazione di una gita o di un viaggio?

Il primo aspetto è di diritto amministrativo puro. Infatti la disciplina a cui occorre fare riferimento è ancora quella prevista dalla legge 29 marzo 2001 recante riforma della legislazione nazionale sul turismo (in Gazzetta Ufficiale n. 92 del 20 aprile 2001) ove, al suo articolo 7, prevede che la commercializzazione, l’intermediazione e la gestione di prodotti e di servizi concorrenti alla formazione dell’offerta turistica possono essere poste in essere da associazioni senza scopo di lucro che operano per finalità ricreative, culturali, religiose o sociali (comma nove – si rileva che manca l’indicazione delle sportive ma è opinione consolidata che vi siano ricomprese -) “esclusivamente per i propri aderenti ed associati”.

Il primo limite, pertanto, è legato alle modalità di “reclutamento” dei partecipanti e al numero e alla tipologia di gite che possono essere organizzate. Non appare, infatti, possibile fare offerte al pubblico di partecipazione all’iniziativa, altrimenti si creerebbe una spiacevole (e vietata) concorrenza con le agenzie di viaggio e i tour operator a tal fine autorizzati. Pertanto vietati sono annunci su giornali, siti internet, bacheche dove si invita ad iscriversi alla gita chiunque fosse interessato.

Tale disciplina, di carattere generale e valevole su tutto il territorio nazionale, viene, poi, ulteriormente modificata da leggi regionali di recepimento che ne limitano ulteriormente, anche in termini numerici (ossia di gite annuali che possono essere organizzate) lo svolgimento. Pertanto ogni associazione interessata dovrà, poi, verificare se a livello territoriale, la propria legge regionale sul turismo ponga limitazione aggiuntive a quelle della legge nazionale.

Ma, risolto il problema di carattere amministrativo, si pone quello di carattere fiscale. Infatti l’art. 148 del testo unico delle imposte sul reddito e l’art. 4 del decreto istitutivo dell’iva stabiliscono che i proventi derivanti dall’organizzazione di gite e viaggi sono da considerarsi sempre rilevanti, sia ai fini delle imposte sui redditi che dell’imposta sul valore aggiunto anche se riscossi da associati all’associazione che indice la gita.

Pertanto, per poter svolgere tale attività, si dovrà sempre assoggettare ad Iva i compensi introitati mentre, ovviamente, saranno deducibili i costi sostenuti anche nel caso in cui i partecipanti alla gita o al viaggio siano tutti associati all’ associazione.

Si chiarisce che il medesimo trattamento ora in esame, per precisa volontà legislativa, è praticato anche verso la somministrazione di pasti e le prestazioni alberghiere. Si evidenzia come l’assoggettamento ad Iva rimanga sempre in essere anche nel caso in cui l’associazione sia anche iscritta ai registri delle associazioni di promozione sociale riconosciuta dal Ministero dell’Interno. In tale ultimo caso, però, il corrispettivo non sarà componente positivo di reddito.

E’ possibile ovviare a tale problematica?

La prima scelta è quella di operare attraverso l’intermediazione di una agenzia di viaggio (tour operator) che rediga il programma del soggiorno e del viaggio e introiti le quote singole. Queste potranno anche essere “raccolte” dal club ma l’agenzia di viaggio dovrà operare tante ricevute per quante sono le persone partecipanti. Ovviamente, in questo caso, si dovranno evitare le “gratuità” che spesso vengono riconosciute dalle agenzie ai gruppi organizzati in quanto il viaggio dovrà risultare come la somma di tante individualità partecipanti.

Altra faccia della medesima medaglia, in alternativa, potrà essere che, di volta in volta, ogni partecipante provveda direttamente al pagamento all’erogatore del servizio (ristoratore o albergatore che sia).

Tali soluzioni portano anche ad altra conseguenza interessante. Non risultando l’associazione organizzatore della gita o del viaggio, la medesima non risponderà di eventuali richieste di risarcimento per danni derivanti dall’effettuazione della gita.

Probabilmente, alla fine, diventa più semplice e più corretto “fiscalizzare” il tutto da parte della associazione in quanto, potendo utilizzare, comunque, anche in questo caso, gli adempimenti semplificati della legge 398/91, ci si limiterà all’autodenuncia mensile dei corrispettivi introitati, senza bisogno, comunque, dell’emissione di fatture o ricevute fiscali e con l’abbattimento del 50% dell’iva introitata.

L’aspetto della responsabilità potrà, comunque, essere tutelata mediante una opportuna polizza di responsabilità civile che resta una copertura comunque opportuna per ogni associazione.

Le associazioni culturali e le prestazioni occasionali

Le prestazioni “di lavoro autonomo non esercitate abitualmente” o quelle legate a “assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”, i cui compensi rientrano tra i redditi diversi di cui all’articolo 67, primo comma, lett. l), del Tuir, costituiscono, dal primo gennaio di quest’anno, alla luce della previsione dell’articolo 2 del D.Lgs. 81/2015, le uniche prestazioni che, per le associazioni del terzo settore diverse da quelle sportive, cori, bande e filodrammatiche, possono essere utilizzate, ovviamente sussistendone i presupposti, per retribuire i soggetti che prestano opera nell’ambito delle attività dalle medesime organizzate.

Può essere definito lavoratore autonomo, alla luce dell’articolo 2222 del codice civile, chi si obbliga a compiere un’opera od un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione e senza alcun coordinamento con il committente; l’esercizio dell’attività, peraltro, deve essere del tutto occasionale, senza i requisiti della professionalità e della prevalenza. Conseguentemente i caratteri differenziali del lavoro autonomo occasionale rispetto alla collaborazione coordinata, ad esempio, vanno individuati, tendenzialmente, nell’assenza del coordinamento con l’attività del committente, nella mancanza dell’inserimento funzionale nell’organizzazione aziendale, nel carattere episodico dell’attività, nella completa autonomia del lavoratore circa il tempo ed il modo della prestazione. Lato debole appare essere la non ripetibilità della prestazione (in tal caso il rifugio appare, sempre sussistendone i presupposti, la prestazione a carattere accessorio pagata con i voucher).

In presenza di tali requisiti non sono, quindi, decisivi, ai fini dell’inquadramento tra i rapporti di lavoro autonomo occasionale, sia la durata della prestazione che l’importo dei compensi percepiti.

Analizziamone il trattamento previdenziale.
L’articolo 44 del D.L. 269/2003 ha disposto che i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale siano iscritti alla Gestione separata istituita presso l’INPS solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad € 5.000 e che, per il versamento dei contributi da parte dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale, si applichino le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi.
A seguito della circolare n. 103/2004 dell’INPS, si è in grado di precisare che l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui alla L. 335/1995 per i lavoratori autonomi occasionali si configura soltanto allorché gli emolumenti percepiti nell’arco dell’anno solare (intendendosi per tale il periodo 1° gennaio – 31 dicembre), a fronte di un unico o di una pluralità di rapporti, superino l’importo di € 5.000 e a decorrere da tale momento. Dalla medesima data di prima iscrizione si procederà all’accredito dei contributi versati, secondo i principi che disciplinano la Gestione.

Si può quindi affermare, anche sulla scorta delle direttive impartite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che il reddito di € 5.000 costituisce, comunque, una fascia di esenzione e che, in caso di superamento di detta fascia, sempre in relazione alle sole attività considerate dalla norma, i contributi sono dovuti esclusivamente sulla quota di reddito eccedente. Sorge, altresì, l’obbligo, in capo al lavoratore, di comunicare ai committenti interessati, all’inizio dei singoli rapporti e, tempestivamente, durante il loro svolgimento, il superamento o meno del limite in argomento, nonché il diritto in capo ai committenti di conoscere tale situazione.
Sulla base delle regole generali previste dalla Gestione separata INPS, la base imponibile contributiva è costituita dal reddito derivante dall’attività di lavoro autonomo occasionale come determinato dalla relativa dichiarazione dei redditi al netto delle spese specificamente inerenti alla loro produzione. Al riguardo la circolare INPS in esame ha chiarito che la contribuzione deve essere applicata sul compenso erogato al lavoratore autonomo occasionale dedotte le spese da quest’ultimo effettuate e poste a carico del committente e risultanti dalla ricevuta o nota predisposta dal lavoratore; l’importo dovrà, comunque, essere calcolato al lordo di qualunque trattenuta fiscale che, nel caso di specie, si ricorda, essere pari al 20% per compensi corrisposti a soggetti residenti e al 30% per compensi corrisposti a non residenti.

Superata dal singolo lavoratore, in riferimento a ciascun anno solare, la fascia di esenzione di € 5.000, il committente o i committenti interessati devono versare i contributi sugli ulteriori emolumenti dagli stessi corrisposti nel predetto anno, con le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi, entro il giorno 16 del mese successivo al relativo pagamento.

Ai lavoratori autonomi occasionali si applicano le stesse aliquote contributive previste per gli altri iscritti alla Gestione separata in relazione ai requisiti posseduti, compreso anche l’eventuale contributo assistenziale.

Le associazioni culturali e la nuova legge sul terzo settore

E’ stata pubblicata, nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 18 giugno 2016, la Legge 6 giugno 2016, n. 106 recante Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale.  Quali sono i soggetti coinvolti? Partiamo dalla definizione presente nella legge: “per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi. Non fanno parte del Terzo settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche”

Se, alla luce di questa definizione, appaiono ben identificati i soggetti “esclusi”, meno chiara ad una prima lettura appare l’identificazione, invece, dei soggetti inclusi.

Per gli enti già oggi facenti capo ai registri delle organizzazioni di volontariato, di promozione sociale o alle Onlus la riforma porterà, si auspica, semplificazioni e razionalizzazioni. Meno semplice è il ragionamento per quelle associazioni culturali in cui, rispetto alle “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociali” prevale, invece, l’attività mutualistica esclusivamente in favore dei propri associati, in cui, pertanto, non sussiste la finalità di interesse generale prevista dalla legge. Vi rientrano tutte quelle associazioni culturali che fanno attività culturali il cui accesso sia riservato esclusivamente ai propri associati.

Questi enti si troveranno fuori dalla nova disciplina del terzo settore? Perderanno le agevolazioni di cui invece oggi possono comunque godere facendo parte della famiglia degli enti non commerciali comunque?

Viene prepotentemente in ballo il problema del concetto di volontariato. Ossia se detta prestazione debba essere sempre a carattere gratuito (come accade oggi per gli associati delle organizzazioni di volontariato) o possa anche, come accade ad esempio nello sport, legittimare compensi apparentemente senza limite (si ricorda che i compensi sportivi hanno, per i soci, il solo limite del lucro indiretto).

L’art. 9 articolo fornisce le direttive in materia di misure fiscali e di sostegno economico:

  1. a) revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali e introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale dell’ente
  2. b) razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità dal reddito e detraibilità dall’imposta delle erogazioni liberali ai soggetti del terzo settore,
  3. c) riforma strutturale della destinazione del cinque per mille alla razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati,
  4. d) indicatori di trasparenza e pubblicità delle risorse ad esso destinate.

Il contenuto della lettera a) introduce il possibile rischio per molte attività culturali sopra descritto. Ossia i sodalizi che svolgono esclusivamente una attività “mutualistica” ossia a servizio e a vantaggio dei soli associati (come accade in molti circoli che si limitano all’organizzazione di corsi o di eventi per i propri soci ecc.) per i quali, quindi, diventa difficile recepire vantaggi solidaristici o di utilità sociale potrebbero vedersi esclusi dalla riscrittura di queste agevolazioni. Sicuramente opportuna appare la revisione del meccanismo di deducibilità e detraibilità delle erogazioni liberali (che, fino ad ora, almeno nel mondo dell’associazionismo culturale hanno suscitato un interesse molto parziale) mentre andrà incentivata quella relativa a servizi, quali ad esempio i corsi sportivi, che invece, ha rispettato pienamente le attese e gli obiettivi per i quali era stata introdotta.

Il registro di promozione sociale in Emilia Romagna: come iscriversi

Il Registro regionale delle Associazioni di Promozione Sociale (APS) dal 18 dicembre 2015 è gestito direttamente dalla Regione Emilia Romagna e non più dalle Province e dalle Città metropolitane. Un’associazione culturale che ne abbia i requisiti (pag. 16/18) deve dunque rivolgersi ora al Servizio coordinamento politiche sociali e socio educative, programmazione e sviluppo del sistema dei servizi della Regione Emilia Romagna e non più alla Provincia o alla Città metropolitana di riferimento.

Sul sito della Regione la delibera di Giunta e la documentazione necessaria