Le associazioni culturali e la nuova legge sul terzo settore

1 Settembre 2016

E’ stata pubblicata, nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 18 giugno 2016, la Legge 6 giugno 2016, n. 106 recante Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale.  Quali sono i soggetti coinvolti? Partiamo dalla definizione presente nella legge: “per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi. Non fanno parte del Terzo settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche”

Se, alla luce di questa definizione, appaiono ben identificati i soggetti “esclusi”, meno chiara ad una prima lettura appare l’identificazione, invece, dei soggetti inclusi.

Per gli enti già oggi facenti capo ai registri delle organizzazioni di volontariato, di promozione sociale o alle Onlus la riforma porterà, si auspica, semplificazioni e razionalizzazioni. Meno semplice è il ragionamento per quelle associazioni culturali in cui, rispetto alle “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociali” prevale, invece, l’attività mutualistica esclusivamente in favore dei propri associati, in cui, pertanto, non sussiste la finalità di interesse generale prevista dalla legge. Vi rientrano tutte quelle associazioni culturali che fanno attività culturali il cui accesso sia riservato esclusivamente ai propri associati.

Questi enti si troveranno fuori dalla nova disciplina del terzo settore? Perderanno le agevolazioni di cui invece oggi possono comunque godere facendo parte della famiglia degli enti non commerciali comunque?

Viene prepotentemente in ballo il problema del concetto di volontariato. Ossia se detta prestazione debba essere sempre a carattere gratuito (come accade oggi per gli associati delle organizzazioni di volontariato) o possa anche, come accade ad esempio nello sport, legittimare compensi apparentemente senza limite (si ricorda che i compensi sportivi hanno, per i soci, il solo limite del lucro indiretto).

L’art. 9 articolo fornisce le direttive in materia di misure fiscali e di sostegno economico:

  1. a) revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali e introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalità civiche solidaristiche e di utilità sociale dell’ente
  2. b) razionalizzazione e semplificazione del regime di deducibilità dal reddito e detraibilità dall’imposta delle erogazioni liberali ai soggetti del terzo settore,
  3. c) riforma strutturale della destinazione del cinque per mille alla razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati,
  4. d) indicatori di trasparenza e pubblicità delle risorse ad esso destinate.

Il contenuto della lettera a) introduce il possibile rischio per molte attività culturali sopra descritto. Ossia i sodalizi che svolgono esclusivamente una attività “mutualistica” ossia a servizio e a vantaggio dei soli associati (come accade in molti circoli che si limitano all’organizzazione di corsi o di eventi per i propri soci ecc.) per i quali, quindi, diventa difficile recepire vantaggi solidaristici o di utilità sociale potrebbero vedersi esclusi dalla riscrittura di queste agevolazioni. Sicuramente opportuna appare la revisione del meccanismo di deducibilità e detraibilità delle erogazioni liberali (che, fino ad ora, almeno nel mondo dell’associazionismo culturale hanno suscitato un interesse molto parziale) mentre andrà incentivata quella relativa a servizi, quali ad esempio i corsi sportivi, che invece, ha rispettato pienamente le attese e gli obiettivi per i quali era stata introdotta.